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1 Non so, ma a Livorno la voce rimbomba. Tornavo a Livorno,
magari d’inverno, e si parlava come si parla a Livorno, quasi
urlando, da una stanza all’altra, sempre in tanti, sempre in dieci in
ogni stanza, col via-vai continuo di gente, tutte le mogli e i mariti
dei miei cugini, e i loro figli, sempre più grandi. E nel cumulo di
voci e parole e discorsi, ci se ne dimentica o si attribuisce ogni cosa
al semplice e ovvio fatto di essere a Livorno. |
2 Poi, di sera o di notte, o quasi di mattina, visto che a Livorno si
pranza alle due, si cena alle dieci, e si va a letto chissà quando,
allora ci ripensi. E se parli qualcuno, magari come sempre con un
cugino, ascoltando la tua voce, la sua voce, allora te ne
accorgi, e dici nel tuo cervello: voci di Livorno, suoni di
Livorno. Poi a Milano ci rimugini e non ne sei convinto. Torni a Livorno e la storia ricomincia: tu parli e la tua voce è diversa, rimbalza, rintrona. La differenza non è molta, è di poco percettibile. L’altro giorno ne parlai con mio padre. E subito mi disse, ridendo: «È vero, a Livorno la voce rimbomba.» Rimasi di sasso. Non era una mia allucinazione. Dunque era vero. Ma certo! Mi potrebbero addormentare in anestesia totale, poi trasportare a Livorno e nel buio più completo di una stanza con gli scuri delle finestre ben serrati, chiedermi: «Parla. Dove sei? Dove siamo?» E io, già dalle loro voci, ma ancor più dalla mia, dalle mie parole, dal loro suono, subito capirei: questo, è suono di Livorno! |
3 Di notte, quando passa un’auto lontana, a Milano è… piatta. Scorre via normale. A Livorno, invece, il suo motore rimbomba in lontananza, e così ogni rumore, ogni voce, quasi fiaba o sogno. Le voci che non rimbombano più, quelle chiuse per sempre nel marmo di Barriera Roma, quelle no, quelle… è tutto un altro discorso. |
di Gianni Nigro |
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